Letterina di Natale

Caro Gesù Bambino,
Un po’ per la tradizione che rinnovo fin da quando ero bambina e un po’ per lasciar libero Babbo Natale (eh sì, anche la distribuzione dei doni richiede il lavoro su turni) scrivo a te queste righe per esprimerti i miei desideri .Non si tratta di cose materiali, bensì di quei valori che sarebbe bello ritrovare tra la gente e al lavoro.
L’educazione, per cominciare, sia da parte del cliente verso chi lo serve e da parte di chi serve verso il cliente, ma anche (sempre in maniera bilaterale) tra dirigenti e dipendenti e tra sottoposti e superiori. Essere educati non significa essere servili, accettando passivamente un comportamento scorretto per poi ringhiare dietro le spalle o brontolando come una pentola in ebollizione salvo poi essere il primo a levare il bicchiere del brindisi davanti ai “padroni”.

Il rispetto: figlio dell’educazione, richiede eguale considerazione delle persone che ci stanno accanto, senza distinguere tra serie A e serie minori. Vale per chi dirige, ma anche per i colleghi dei diversi reparti ( che talvolta ingaggiano discussioni sul grado di importanza del proprio rispetto agli altri, dimenticando che esiste il lavoro di squadra) . Vale naturalmente anche verso chi lavora per il benessere e la soddisfazione altrui, anche se lo spirito “missionario” prevale sulle cattiverie dette e scritte, soprattutto a mezzo recensione, e alla fine si continua a fare questo lavoro perché lo si ama.

La competenza : costituita dal virtuoso insieme tra studi ed esperienza, e’ la benzina fondamentale per far funzionare un’attività. Chi s’ improvvisa imprenditore alberghiero ricordi sempre che investendo denaro non si compra il titolo di “albergatore”. Sappia che le persone che sceglie non devono soddisfare solo criteri di risparmio in termini di stipendio, ma che devono rappresentare il valore aggiunto della struttura. Impari che il collaboratore competente non è un albero che fa ombra oscurando la potenza del padrone, ma un fautore del successo dell’azienda. Da parte del dipendente, vi sia invece un onesto ed obiettivo riconoscimento delle proprie capacità e dei propri limiti, senza barare o usare mezzi alternativi (delazione, ruffianaggine) per scalare l’organigramma a danno dei colleghi. I collaboratori ricordino pure che non è un titolo di studio a conferire automaticamente il diritto di diventare “manager”, ma ciò che si apprende sul campo ogni giorno, unito al buon esempio.

Ecco, mi sembra un buon punto di partenza per provare a ricostruire non dico il mondo intero, ma almeno l’ambiente di lavoro quotidiano in cui passiamo buona parte del nostro tempo.
Allora Ti chiedo, caro Gesù, di infondere questi piccoli “semi” nei nostri cuori affinché possano, finalmente, germogliare.

E’ già Natale, quindi Ti ringrazio e l’anno prossimo Ti saprò aggiornare in merito.
Barbara